Ritratto di gentildonna (La Muta)

Raffaello Sanzio

I gioielli che sobriamente adornano il petto e le mani della Muta, nonché la scelta dei preziosi veli di seta che ne incorniciano il capo e le spalle, il guanto (o fazzoletto) stretto tra le mani, la ricercatezza dei colori dei tessuti rimandano alla rigida codificazione sociale imposta dalle leggi suntuarie fiorentine del tempo, e raccontano della ricchezza della donna e del ruolo ricoperto nell’economia familiare (si pensi al grembiule che ne cinge la vita).
Nei tratti affilati e dignitosi del volto, il cui sguardo è reso ancor più intenso dalle labbra serrate, il pennello indaga con minuzia i dettagli fisici con una luce che è già oltre il caldo lume razionale ‘urbinate’.
Il disegno soggiacente la pittura mostra come Raffaello abbozzasse sinteticamente gli occhi, il naso e le labbra; fu invece più faticoso per lui lo studio della posa, variata nell’altezza e nell’apertura delle spalle, nonché nella posizione delle mani.
Il pittore, complice anche il difficile tre quarti, si confronta qui con la ritrattistica di Leonardo (dalla Ginevra de’ Benci alla Monna Lisa); è altrettanto forte il debito verso la ritrattistica di matrice nordica, sia nel trattamento delle mani, sovrapposte sul limite inferiore del dipinto (si presti attenzione all’indice della mano sinistra che mostra qualcosa al di fuori della tavola), sia nell’uso del fondale scuro, attraverso cui è isolato il volume composto della figura e messa in risalto la virtuosistica resa dei tessuti.

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