Donato Bramante (Donato di Pascuccio)
Bramante si era formato nella città di Urbino, fervido centro di studi matematici dove l’uso della prospettiva come forma di controllato ordinamento dello spazio dipinto aveva conosciuto il suo massimo splendore . Giunto a Milano, l’artista approfondì queste conoscenze ricercando effetti visivi e illusionistici con l’intento di colpire le emozioni dello spettatore: il Cristo alla colonna può considerarsi il punto più alto di tale innovativo linguaggio, grazie al quale la cultura artistica lombarda abbracciò inedite soluzioni di stampo rinascimentale.
Al suo approdo alla corte di Ludovico il Moro, Bramante lavorò come architetto a Santa Maria presso San Satiro, dove l’assenza dello spazio fisico in cui collocare l’emiciclo del coro suggerì la creazione di una finta volta in stucco che simulasse la dilatazione spaziale delle pareti della chiesa: la stessa idea di spazio ricreato illusionisticamente costituisce il tema portante di quest’opera, dove alcuni espedienti compositivi come il corpo scultoreo che invade il primo piano, la finestra e la colonna che si estende oltre i limiti fisici del quadro riescono a suggerire l’esistenza di un grande ambiente sorretto da colonne entro il quale si svolge il supplizio di Cristo. Sollecitò la sensibilità di Bramante il confronto con le opere di Leonardo, che a Milano, negli stessi anni, dipingeva il Cenacolo e indagava le potenzialità espressive dei movimenti del corpo e delle espressioni del viso: nel Cristo alla colonna la plasticità scultorea di matrice urbinate si arricchisce pertanto di dettagli di sorprendente naturalismo, quali le carni strette dai lacci e le lacrime trasparenti, i cui effetti sull’emotività dello spettatore costituivano un’assoluta novità rispetto alla formazione di Bramante.
“A sinistra luce e vitalità, a destra ombra e oblio. Cristo è in mezzo e fissa lo sguardo nel buio. Seguite i suoi occhi fin dietro le vostre spalle, dove lo aspetta la morte. Non ha l’aureola, ancora non ne è dotato, ma la tranquillità piena d’angoscia del suo sguardo ci mostra dove sta andando. La luce è il tempo. Questa è una pausa fra due mondi, ma l’ombra del calice passa sulla pelle ancora non ferita del Cristo, inesorabile come una catena, e lo risucchia nel buio. Egli sopporterà l’oscurità per noi”.
Lisa Hilton
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